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Newsletter n°8

Benvenuti al nuovo appuntamento pre-estivo con la newsletter Agape.

In questo numero abbiamo scelto di parlare di comunicazione ed assertività: crediamo che non se ne parli mai abbastanza rispetto all’importanza e agli effetti che il linguaggio ha in tutte le interazioni umane. A partire dalla più tenera età: proprio i bambini, fra l’altro, possono aiutarci a capire meglio quali sono le strategie comunicative più efficaci…basta saperli osservare!

E poi, un breve ricordo di Danilo Dolci, il grande umanista e poeta della non violenza, con le parole di chi, come Massimo Fancellu, ha avuto la fortuna di partecipare ad uno dei suoi seminari e di conoscere meglio il suo pensiero. Pensiero in cui i concetti della comunicazione e della democrazia sono intimamente connessi: “l’uno permette all’altro di esistere, producendo coscienza, maturità, responsabilità”.

E per finire, un brano preso dal libro “Sommersi e salvati” di Primo Levi che tratta, appunto, il tema della comunicazione.

Prima di augurarvi buone vacanze, vi anticipiamo che, da settembre, sarà attivo il nuovo sito Agape. In questo periodo siamo, infatti, impegnati a rifare completamente il look del nostro spazio web, per renderlo più ricco di contenuti e più facile da navigare.

Buona estate e buon relax a tutti!

 

Massimo Fancellu     –    Raimonda Farris

 

Impariamo dai bambini

Comunicare in modo assertivo: a scuola dai più piccoli

 

Valentina ha due anni e una grande curiosità di conoscere e interagire con tutto ciò che le sta attorno.

Non può che farlo comunicando: domande, richieste, osservazioni, obiezioni, rifiuti sono i suoi strumenti per capire e farsi capire nei suoi rapporti con gli altri, primi fra tutti mamma e papà.

E’ sempre sorprendente osservare i comportamenti di un bambino per cogliere gli aspetti e i modi che usa per comunicare.

Con Valentina, in questo momento, ho la possibilità di farlo da un punto di vista privilegiato, visto che è mia figlia.

Un’occasione ottima per vedere come i bambini più piccoli, ancora liberi da limiti e condizionamenti, riescano a comunicare con assoluta naturalezza, riuscendo ad essere assertivi.

L’assertività, infatti, è quel comportamento che permette di esprimere in modo chiaro ed efficace le proprie emozioni e opinioni, e rende perciò adeguata la comunicazione.

Il bisogno di comunicare è insito nella natura umana. Farlo avendo rispetto dei sentimenti e dei diritti propri e altrui è comunicare in modo assertivo.

Una caratteristica in cui i piccoli sono decisamente più abili di noi adulti, molto spesso soggetti a una comunicazione che risente di vincoli e autocensure.

“…Già appena nasce, un bambino cerca di comunicare….è impressionante notare come un bambino di pochi giorni, senza conoscere alcuna lingua, riesca a intendersi con la propria madre: bisogni, gioie, paure e tanto altro. Per una gran parte è dunque innata nel bambino la capacità di comunicare. Succede però spesso che una serie di regole, restrizioni e norme incanalano limitando, anziché amplificarle, le capacità comunicative. Questo non succede solo a scuola ma anche in famiglia….Sì. Un bambino può imparare a comunicare se, guardando e osservando tutto ciò che lo circonda, può esprimere le sue scoperte e le sue reazioni

Il brano in corsivo è preso dal libro di Danilo Dolci, “Variazioni sul tema comunicare”: uno splendido passo che esprime molto bene il concetto di assertività.

A questo proposito, sono tanti gli episodi che mi vengono subito in mente che hanno, appunto, per protagonista la mia simpatica piccola peste.

“Valentina, cosa fa Mario, il tuo compagnetto di giochi?”

Risposta: “Mario fa bo…bo…bo”.

Una risposta semplice ed autentica, libera da giudizi, frutto esclusivo di una attenta osservazione dei fatti e della realtà.

Osservazione ma anche empatia, come quando, ad esempio, a 18 mesi la trovammo sdraiata sul pavimento a fianco di Lucky, un bellissimo cane ospite a casa nostra, intenta a imitarne il comportamento.

L’empatia è un elemento indispensabile dell’assertività: è la capacità, infatti, di cogliere la prospettiva dell’interlocutore assumendone il suo punto di vista.

Essenziale è anche la capacità di ascolto: chi è assertivo è aperto e dà la giusta considerazione a colui che sta parlando.

Prendo ancora spunto da Valentina.

“Adesso ci mettiamo il pigiamino e poi andiamo in cameretta per fare la nanna”, dico a mia figlia quando è ora di andare a letto la sera.

Replica di Valentina: “Prima il pigiamino e poi a nanna?”

Ottimo esempio di messaggio di ricezione con tanto di feed back sintetico su ciò che è stato comunicato in precedenza.

Alcuni presupposti sono indispensabili per avere un comportamento assertivo:

 

  • buona autostima
  • comunicazione adeguata
  • libertà espressiva
  • capacità di rispondere alle richieste e alle critiche
  • capacità di dare e ricevere apprezzamenti
  • capacità di sciogliere i conflitti

 

L’autostima è necessaria nella condotta assertiva, poiché solo chi si vuole bene si relaziona in maniera adeguata con gli altri, senza comportarsi in maniera aggressiva o passiva.

Nella comunicazione, le persone assertive fanno spesso uso dei pronomi personali, limitano un uso eccessivo di “devo” o “dovrei”, sanno esprimere apertamente disappunto senza mascherare le proprie emozioni. Inoltre,esprimono anche col corpo ciò che viene detto a parole, rendendo congruente la comunicazione verbale e quella corporea.

Vista in questo modo, mi viene da fare una semplice considerazione: coltivare l’assertività è lavorare per il proprio benessere e la propria libertà e favorire anche quelli altrui, nel reciproco rispetto.

Ma cosa possiamo fare individualmente?

Penso che prima di tutto sia utile cercare di evitare (o quanto meno contenere il più possibile) tutti quegli atteggiamenti tipici dell’adulto che pretendono di educare i ragazzi in modo rigido, non rispettoso dei loro bisogni e aspirazioni, che mortificano anziché valorizzare l’individualità di ciascuno per adeguarla ad un “codice ideale di comportamento”.

Essere, poi, anche disponibili ad imparare da chi, come i bambini, liberi da sovrastrutture, hanno tanto da insegnare con semplicità.

Ed infine, utilizzare tutte le innumerevoli occasioni che la vita offre per allenarsi ad essere ogni giorno più efficaci ed incisivi nelle relazioni.

Concludo riportando un altro passo del libro di Dolci con l’augurio che tutti quelli che lo leggeranno siano sensibili a cogliere ed apprezzarne il messaggio.

“…Come il bambino o il ragazzo può imparare a comunicare in famiglia o a scuola? Impara a comunicare se si sente amato, interpretato, e se da piccolo impara ad osservare attentamente ciò che lo circonda, impara ad amare quanto osserva…impara se, sentendosi trattato con rispetto, impara a partecipare responsabilmente. Se rispondiamo sinceramente alle sue domande, con attenzione. Se può imparare a valorizzare sentimenti ed emozioni. In un clima sereno e confortevole… Impara se noi adulti dimostriamo di saper comunicare: il che in parte è un bisogno in noi connaturato da esercitare, e in parte da inventare.”

 

Raimonda Farris

 

 

Un tributo a Danilo Dolci

 

E’ estremamente difficile descrivere in poche righe la personalità e la storia di Danilo Dolci. Lo conobbi ancora prima di iniziare a fare il formatore, quando mi dissero che era uno dei massimi esperti, in Italia e forse nel mondo, sul tema della creatività e della comunicazione.

Alla prima occasione andai a fare un seminario con lui, mi interessava capire con chi avevo a che fare, fortemente curioso per i libri e gli articoli che, nel frattempo, avevo letto per documentarmi. Inutile dire che fu un seminario splendido.

 

Riporto alcune righe, quelle che allora mi colpirono di più, tratte dal sitowww.danilodolci.it, a cui rimando chi fosse interessato a fare ricerche su di una persona che non può essere definita con una sola “etichetta”.

Per capire quale fu la sua attività dovremmo dire, infatti, che Dolci fu poeta, scrittore, educatore (maieuta), leader rivoluzionario, architetto, antesignano dello sviluppo locale sostenibile (lavorò, tra l’altro a Santulussurgiu, in Sardegna), problem solver “creativo”, motivatore.

 

Dal sito: “… Sempre del 1956 è lo sciopero alla rovescia, con centinaia di disoccupati impegnati a riattivare una strada comunale resa intransitabile dall’incuria delle amministrazioni locali. La reazione dello Stato è, ancora una volta, repressiva: una carica delle forze dell’ordine disperde i manifestanti, mentre gli organizzatori vengono arrestati e tradotti all’Ucciardone. Il “caso Dolci” infiamma il Paese, occupa le prime pagine dei giornali, accende un vivace dibattito al Senato e alla Camera: …”

 

In questo caso, Danilo Dolci convinse i disoccupati a costruire, gratuitamente (da qui il termine “sciopero alla rovescia”), una strada dissestata e, di fronte alle forze dell’ordine chiamate a disperdere la folla, si appellò all’articolo 4 della costituzione ma venne arrestato. In quell’occasione, gli intellettuali di tutta Europa si mobilitarono per la sua liberazione.

 

“…Dolci (…). È convinto che le forze necessarie al cambiamento si possano trovare nelle persone più avvertite del luogo; che non possa esistere alcun riscatto che prescinda dalla maturazione di consapevolezza dei diretti interessati…. «Un cambiamento», sostiene Dolci, «non avviene senza forze nuove, ma queste non nascono e non crescono se la gente non si sveglia a riconoscere i propri interessi e i propri bisogni»….”

 

Danilo Dolci è considerato “l’inventore” della “maieutica di gruppo” e, concretamente, si è occupato di facilitare la comunicazione nei processi di analisi e soluzione dei problemi a livello territoriale. La sua forza è stata proprio la capacità di valorizzare la semplicità di pensiero, facendo da “traduttore” e “mediatore” della visione delle persone semplici (contadini, artigiani, casalinghe, …) nei momenti di confronto collettivo, dove si affrontavano i problemi del territorio con lo scopo di trovare idee utili per risolverli. Nel suo messaggio, la democrazia sta proprio nella considerazione che la realtà non ha un titolo di studio e può essere colta tanto da chi è istruito quanto da chi non lo è, tanto dagli adulti quanto dai bambini, tanto dagli uomini quanto dalle donne; tutti possediamo un pezzo importante di realtà che, se condiviso con gli altri, contribuisce ad arricchire tutti. In questi delicati processi, la sua capacità era proprio quella di riuscire a mettere tutti nella condizione fisica (turni di parola, sistemazione fisica dei luoghi in cui ci si confrontava, …), ma anche emotiva (clima positivo) e spirituale (senso del potere, visto come possibilità di migliorare il contesto in cui viviamo) utile per far emergere intuizioni e nuove possibilità.

…. Proprio sviluppando l’intuizione di un contadino, nel corso delle riunioni dedicate ad analizzare l’arretratezza economica della regione e all’individuazione di possibili soluzioni, prende corpo il progetto per la diga sul fiume Jato. Tecnici esperti, consultati, confermano che l’idea di edificare un grande bacile per raccogliere la copiosa pioggia invernale e utilizzarla nei mesi estivi è tutt’altro che insensata. La realizzazione richiederà quasi dieci anni di lotte e mobilitazioni popolari. Questa diga, che ha sottratto alla mafia il monopolio delle scarse risorse idriche precedentemente disponibili, ha rivoluzionato la vita di migliaia e migliaia di cittadini, consentendo nella zona la nascita di numerose cooperative e una crescita economica assolutamente impensabile prima.

… A Franco Marcoaldi che gli chiede se si ritenga un utopista, Dolci risponde: «Sono uno che cerca di tradurre l’utopia in progetto. Non mi domando se è facile o difficile, ma se è necessario o no. E quando una cosa è necessaria, magari occorreranno molta fatica e molto tempo, ma sarà realizzata. Così come realizzammo la diga di Jato, per la semplicissima ragione che la gente di qui voleva l’acqua»…”.

 

Consiglio vivamente a chi si occupa di impresa, formazione e gestione delle risorse umane, sviluppo locale, politica e libero pensiero di leggere con attenzione la sua biografia per capire cosa può imparare da questo grande, immenso personaggio.

Massimo Fancellu

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Comunicare

 

 

Salvo i casi di incapacità

patologica, comunicare si può e si

deve: è un modo utile e facile di

contribuire alla pace altrui e

propria, perché il silenzio,

l’assenza di segnali, è a sua volta

un segnale, ma ambiguo, e

l’ambiguità genera inquietudine e

sospetto. Negare che comunicare si

può è falso; si può sempre.

Rifiutare di comunicare è colpa;

per la comunicazione, ed in specie

per quella sua forma altamente

evoluta e nobile che è il

linguaggio, siamo biologicamente e

socialmente predisposti.

 

Primo Levi

” Sommersi e salvati”, 1986