Qualche sera fa, durante una festa di compleanno, un’amica che aveva letto su internet i titoli dei miei ultimi articoli sul nostro blog aziendale mi dice: “Quando ho visto che hai scritto un articolo sull’assertività mi sono ricordata della mia collega e mi sono venuti i capelli dritti!!!“.
In effetti, la terapeuta della suddetta collega le aveva consigliato di dire quello che pensava perché riteneva che avesse bisogno di sviluppare l’assertività.
Io non so e non mi è dato sapere cosa realmente avesse detto la terapeuta alla collega della mia amica, né quali “compiti per casa” le avesse assegnato e neppure la logica con la quale tali compiti siano stati assegnati.
Sta di fatto che questa signora aveva iniziato a dire, in azienda, esattamente tutto quello che pensava senza nessun freno inibitore… ovviamente creando alle colleghe ed ai colleghi una serie abbastanza lunga di malumori e risentimenti.
Da coach penso (anzi, sono più che sicuro) che se la terapeuta ha assegnato delle attività da portare avanti tra una seduta e l’altra una logica c’è ed è una logica terapeutica, non necessariamente comprensibile da chi lavora in una pubblica amministrazione oppure in un’azienda.
Il dubbio è piuttosto quanto l’indicazione sia stata compresa correttamente (e applicata correttamente) dalla paziente.
Almeno fino a quando, chiarita la situazione al lavoro, tutti i colleghi (o quasi) hanno iniziato a pesare le sue affermazioni in modo diverso rispetto a situazioni “normali” e le sue “sparate” sono diventate la barzelletta dell’ufficio…
Il racconto della mia amica è stato davvero un’ispirazione per me: ultimamente durante i miei corsi (e non solo in Sardegna, dove abitualmente lavoro) ho sentito dire cose come “Quella tal persona è troppo assertiva” oppure “non essere così assertivo” e questo mi fa pensare che spesso, nel linguaggio di tutti i giorni, si confonde il concetto di assertività con quello di “aggressività”, “insensibilità” o “mancanza di empatia“.
Cosa è l’assertività
Quindi, per chiarire meglio, per assertività si intende l’espressione diretta, onesta e appropriata dei nostri pensieri, sentimenti, necessità o diritti, senza scaricare sugli altri le nostre negatività.
Esprimersi in modo diretto significa dire quello che si pensa, si prova o quello che succede, descrivendo i fatti ed evitando i giudizi (o esprimendo i giudizi come opinioni e con come dati oggettivi).
Comunicare in modo onesto significa evitare le ambiguità ed allineare parole, voce, gesti, sentimenti e pensieri. Significa anche dire la verità, cioè ciò che veramente si pensa, se non offende gli altri in modo gratuito.
Comunicare in modo appropriato significa considerare che, quando diciamo le cose, abbiamo di fronte persone che hanno gli stessi diritti che abbiamo noi e, insieme a questi diritti, sensibilità e un’educazione o, meglio, una cultura diverse dalla nostra. E quindi possono risentirsi, arrabbiarsi o soffrire se diciamo troppa verità, tutta insieme e magari nel momento sbagliato.
Quindi, se ad esempio tua moglie si è impegnata tutto il giorno per governare la casa, seguire i vostri 3 figli e scarrozzarli per la città fra le varie palestre, catechismi, corsi di musica, inglese, disegno, origami ecc., se ha cucinato ed è riuscita anche ad apparecchiare la tavola, arrivi tu a casa e ti lamenti, visibilmente seccato, perché non ha stirato la tua camicia a quadri (e ne hai altre 10 che potresti indossare domani), sappi che non stai utilizzando lo stile assertivo solo perché stai chiedendo quello che vorresti.
Cosa non è l’assertività
Lo stile di comunicazione assertivo si distingue dagli altri 3 stili di comunicazione:
- lo stile aggressivo
- lo stile manipolativo
- lo stile passivo
Il primo, lo stile aggressivo, consiste nel voler esprimere o soddisfare sé stessi senza tener conto delle esigenze degli altri e, quindi, con l’esercizio della pressione verbale e dell’ostentazione di sé; alzare la voce, ad esempio, oppure parlare sempre senza ascoltare gli altri sono espressioni dello stile aggressivo.
Lo stile manipolativo è una variante di quello aggressivo e consiste nell’utilizzare le lusinghe, i falsi complimenti e le menzogne, e nel fare leva sull’ego e sulle debolezze altrui per ottenere quello che si vuole.
Lo stile passivo, infine, consiste nell’accettare (o subire) gli altri stili di comunicazione e, in particolare, le aggressioni e i tentativi di manipolazione.
Spero che questo articolo ti sia utile per riconoscere quale stile di comunicazione usi di volta in volta e per saperlo modificare (se non è il più appropriato rispetto alla situazione,) in modo da poterti relazionare con più consapevolezza e incisività.